Angelo Camillo De Meis
Patriota, filosofo e politico italiano
Nasce a Bucchianico il 14 luglio 1817. Compie i primi studi nel Regio Collegio degli Scolopi di Chieti, dove conosce Bertrando e Silvio Spaventa. Nel 1840 si trasferisce a Napoli dove frequenta la scuola del clinico Pietro Ramaglia laureandosi in medicina. Nel 1843 è chiamato, come medico aggiunto, all’Ospedale degli Incurabili. Nel 1848 è nominato rettore del Collegio medico e professore d’anatomia. Unitamente agli studi scientifici, coltiva le lettere e la filosofia. Francesco De Sanctis, suo coetaneo e amico, lo introduce nei circoli patriottici partenopei. Imputato di cospirazione contro lo Stato durante i moti napoletani del 1848, è destituito dalla carica di Rettore. Ripara, in esilio, a Parigi, dove vi resta fino al 1853, esercitando gratuitamente la professione di medico per gli esuli e gli emigrati italiani. Insegna antropologia all’università ed entra in contatto con il mondo scientifico parigino, diventando assistente del fisiologo Claude Bernard. Stringe anche un proficuo rapporto con il filosofo Victor Cousin. Rientra in Italia nel 1853, prima a Torino, e poi a Modena, dove, nel 1859, è nominato insegnante di fisiologia all’università. Torna a Napoli nel 1860 e diviene assistente di Francesco De Sanctis, ministro dell’istruzione nel governo provvisorio. È eletto Membro straordinario del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. È deputato al Parlamento del Regno d’Italia dal 1861 al 1867, sedendo tra i ministeriali. Dal 1863 è professore di Storia della medicina all’Università di Bologna, dove si spegne nel 1894. È sepolto nel cimitero di Bucchianico.
Ferdinando Galiani
Economista e pensatore
Nato a Chieti il 2 dicembre 1728 da famiglia originaria di Lucera, è educato agli studi a Napoli dallo zio Celestino, arcivescovo di Taranto e cappellano maggiore del Regno. Rivela ben presto precoci doti intellettuali. Nel 1745 riceve gli ordini minori. S’interessa d’economia traducendo e commentando le teorie del Locke. Nel 1751 pubblica il famoso trattato “Della moneta”. Nel 1755 è abate, con la concessione papale del beneficio della canonica di San Pietro d’Amalfi. Tra il 1759 e il 1769 è a Parigi, inviato come Segretario d’Ambasciata. Con il suo spirito e il suo brillante ingegno, domina i salotti intellettuali della capitale francese, stringendo rapporti con madame d’Épinay, Denis Diderot e gli enciclopedisti. Richiamato a Napoli nel luglio 1769 in seguito ad un infortunio diplomatico, esercita la magistratura nel Tribunale di Commercio, divenendone Segretario l’anno seguente. Nel 1770 pubblica l’altro importante saggio di economia: “Dialogues sur le commerce des bleds”. Nel 1775 collabora, con Gian Battista Lorenzi, alla stesura per l’opera buffa “Socrate immaginario”, musicato da Paisiello, e scrive varie opere: “La Descrizione della spaventosa eruzione del Vesuvio”, “Del dialetto napoletano”, “Galeota in Parnaso venticinque motti”. Un posto a parte occupa il ricco epistolario. Prosatore brillante, in italiano e in francese, ha un illuministico disprezzo per il vuoto accademismo, ma senza la fiducia ottimistica nella ragione. Muore a Napoli il 3 ottobre del 1787 ed è sepolto nella chiesa dell’Ascensione.
Gaetano Braga
Violoncellista, compositore e concertista
Nasce a Giulianova il 9 giugno 1829. Di famiglia modesta, sta per essere avviato alla carriera ecclesiastica, quando la Duchessa d’Atri, Giulia Colonna, notate in lui spiccate attitudini musicali, lo iscrive al Conservatorio “S. Pietro a Maiella”, a Napoli. Tra i maestri è Saverio Mercadante, suo insegnante di composizione. A 14 anni si applica allo studio del violoncello, sotto la direzione del maestro Ciaudelli. Nominato maestrino di contrappunto, partecipa, come primo violoncello, alle accademie di quel Conservatorio. Dopo l’esordio al teatro del Fondo con l’opera semiseria “Alina”, nel 1853 Braga lascia Napoli e inizia una lunga serie di concerti a Firenze, Bologna, Trieste e Vienna, dove suona per qualche tempo nel “Quartetto” di Maysender. Come compositore raggiunge l’apice del successo con le opere “Il ritratto”, “Reginella” e “Caligola”. Nel 1855 è a Parigi, in contatto con insigni letterati, tra i quali Gautier e Dumas, e con i musicisti Auber, Verdi, Berlioz e Rossini, con il quale stringerà una sincera e solida amicizia. Nella capitale francese, ormai famoso ed apprezzato, suona con i migliori esecutori del tempo: Liszt, Gounod, Bizet, Rubinstein; e impartisce lezioni di canto alle artiste del Théâtre Italien. Nello stesso anno, s’imbarca per l’America, dove tiene 150 concerti, riportando ovunque consensi che gli varranno il titolo di “re del violoncello”, successi che lo accompagneranno anche al rientro in Europa. La sua “Leggenda Valacca” per canto, pianoforte e violoncello, incontra enorme fortuna. Dopo aver vissuto lungamente a Parigi, nel 1894 Braga torna definitivamente a Milano, ponendo fine alla sua carriera concertistica. Qui ritrova i vecchi amici, tra i quali Antonio Fogazzaro, di cui musica “La ricamatrice”. Grato, lo scrittore s’ispirerà al Braga per il suo Lazzaro, protagonista della novella “Il Maestro Chieco”. E nella città lombarda Gaetano Braga muore il 20 novembre 1907.
Giuseppe Persiani
Musicista
Nasce a Gessopalena 16 marzo 1827. Fin da ragazzo dimostra una spiccata predisposizione per la musica. A soli 17 anni dirige, nella chiesa di Sant’Antonio Abate, a Chieti, un concerto di musiche sacre da lui composte. A Napoli studia, privatamente, presso il maestro Aspa e apprende contrappunto, armonia e composizione dai maestri Mancini, Zingarelli, Tritto, Durante e Mercadante. Nel 1854 si reca a Firenze per incontrare Gioachino Rossini, che per primo ne intuisce, lodandole, le doti. La sua prima opera lirica “Malek Adhel”, è eseguita, nel giugno del 1855, al Teatro S. Ferdinando (oggi Marrucino), e replicata per diciannove sere, con plauso unanime. Il 18 ottobre 1860, nell’atrio del palazzo dell’Intendenza di Chieti, alla presenza di Vittorio Emanuele, dirige l’inno, da lui composto, per il nuovo Re. Nel 1861 compone l’opera lirica “Il Prigioniero di Palermo”, che dedica a Giuseppe Garibaldi ricevendo dall’Eroe dei due Mondi, grato, un orologio d’oro. Altre apprezzate composizioni sono le arie “L’Italia”, “La battaglia di Benevento”, le due opere-ballo, “ L’assedio di Cesarea” e “Bianca di Belmonte”. Vasta è la sua produzione di musiche sacre. Un plauso generale ottiene la sua “Gran Messa di Requiem” per Re Vittorio Emanuele. Tanta stampa, italiana ed estera, s’interessa alle sue opere. Ma l’aver voluto confinare la propria esistenza e la propria attività entro i ristretti limiti della provincia certamente non giovano al compositore che, il 28 marzo 1889, muore a Chieti. Studiosi “distratti”, hanno scambiato notizie della sua vita con la biografia di un altro Giuseppe Persiani, anch’egli musicista e compositore, nato a Recanati l’11 settembre 1799.
Silvio Spaventa
Patriota, giurista e filosofo
Nasce a Bomba (Chieti) il 10 maggio 1822 da agiata famiglia abruzzese, fratello minore di Bertrando e figlio di Eustachio e Marianna Croce la cui famiglia è la stessa del filosofo Benedetto. Nel 1836 prosegue gli studi nel seminario di Chieti. Nel 1838 si trasferisce a Montecassino, dove il fratello Bertrando ha avuto un incarico per l’insegnamento della matematica e della retorica. Nel 1843 si reca a Napoli, presso lo zio Benedetto Croce, consigliere della Suprema Corte e nonno del noto filosofo. Nella capitale del Regno delle Due Sicilie viene a contatto con gli ambienti liberali e con il pensiero di Hegel. Il Regno è retto da Ferdinando II di Borbone, re ostile alla politica liberale.
Spaventa è costretto a lasciare Napoli per dirigersi in Toscana, a Firenze. Dopo la Costituzione concessa dal Re Ferdinando, nel febbraio 1848, torna a Napoli e fonda il quotidiano “Il Nazionale”, punto di riferimento per la borghesia liberale. Il 15 aprile è eletto deputato nella provincia natia. Revocata la Costituzione, si reca a Roma, poi a Torino. Tornato a Napoli, il 15 maggio 1849 è arrestato. L’8 ottobre 1852, è condannato a morte per impiccagione, con l’accusa di cospirazione contro lo Stato. La pena gli è commutata in ergastolo. Per sei anni rimane nel carcere di Santo Stefano, da dove esce nel gennaio del 1859. Deportato in America, trova rocambolesco approdo in Irlanda. Nel maggio del 1859 torna in Italia, a Torino, dove conosce Cavour. Ma non esita a rientrare a Napoli per preparare l’insurrezione contro i Borboni. Dopo l’unificazione d’Italia, è deputato (dal 1861 al 1889) tra le file della Destra storica, sottosegretario all’Interno (1862-64), consigliere di Stato (1868) e ministro dei Lavori Pubblici (1873-1876). Nel 1889 è nominato Senatore del Regno. Muore a Roma il 23 giugno 1893. La sua salma è sepolta nel cimitero del Verano.
Giovanni Chiarini
Esploratore
Nasce a Chieti il 23 giugno 1849 da Emidio e Maria del Santo, agiati negozianti. Fin dall’infanzia mostra grande inclinazione per gli studi delle scienze naturali e delle lingue straniere. Ventenne, va a Napoli, a compiere gli studi liceali iniziati nella città natale. Conseguito il diploma, s’iscrive ai corsi universitari di Matematiche e Scienze naturali, integrando i suoi studi con escursioni sui monti napoletani e abruzzesi, al fine di raccogliere materiale botanico e mineralogico. Nel 1876 entra a far parte della “ Grande Spedizione nell’Africa Equatoriale”, organizzata dalla Società Geografica Italiana. L’8 marzo parte da Napoli con Orazio Antinori, capo della spedizione. Arriva nella regione etiopica dello Scioa nell’agosto del 1876. Lasciato a Let Marefia l’Antinori, incapace di proseguire per motivi di salute, nel maggio 1878 prosegue, verso meridione, in compagnia di Antonio Cecchi. Inoltratisi in luoghi inesplorati, tra popolazioni ostili e aggressive, ritenuti spie di Menilek, sono depredati e sottoposti a dura prigionia. Camuffato da prete indigno, Chiarini riesce ad esplorare parte di quel territorio portando a termine importanti scoperte geografiche. Nuovamente fermati, gli esploratori sono condotti in Cialla, e imprigionati. Chiarini tenta di tornare indietro, verso lo Scioa, e chiedere soccorsi. A Liekà, è ferito dagli indigeni e costretto a tornare, prigioniero, nel territorio di Ghera. Qui, provato dagli stenti e dalla malaria, il 5 ottobre 1879, muore tra le braccia di Antonio Cecchi, che, appena libero, gli dà pia sepoltura presso la Chiesa della missione di Afallò. Nel 1884 i resti mortali, esumati dall’africanista Augusto Franzoj, sono restituiti alla patria e tumulati a Chieti, nel cimitero di Sant’Anna.
Giulio Raimondo Mazzarino
Cardinale e uomo politico
Nasce a Pescina (L’Aquila) il 14 luglio 1602. È il primo di sei figli del nobile siciliano Pietro Mazzarino e di Ortensia Bufalini, appartenente ad una famiglia della piccola aristocrazia umbra, imparentata con i principi Colonna, presso i quali, a Roma, Pietro ha servito come maggiordomo e intendente. Studia a Roma, nel Collegio dei Gesuiti, poi in Spagna, a Madrid e ad Alcalá de Henares, dove soggiorna per un breve periodo. Tornato a Roma nel 1622, abbandona la giurisprudenza per la milizia. Nel 1625 è in Valtellina, capitano dell’esercito pontificio e diplomatico. Deposte le armi, nel 1628 si laurea in legge a Roma, presso l’Università “La Sapienza”. Nel 1634 è inviato ad Avignone come vice-legato pontificio. In seguito, diviene nunzio apostolico a Parigi dal 1634 al 1636. Nel 1639, Richelieu lo chiama al suo diretto servizio. Il 26 dicembre 1641, re Luigi XIII lo fa nominare cardinale. Alla morte di Richelieu, Mazzarino ne prosegue la politica; contribuisce alla conclusione della guerra dei Trent’anni e alla firma della pace di Vestfalia. Diviene Primo Ministro del Regno, tutore del nuovo re Luigi XIV, e coreggente dello Stato. Muore a Vincennes il 9 marzo 1661.
Domenico Stromei
Calzolaio e poeta
Nasce a Tocco Casauria il 28 novembre 1810 da Cesidio, negoziante e capo della Banda del paese e da Maria Aloisio, casalinga. Un evento funesto turba la serenità della famiglia, pochi mesi prima della sua nascita. Il padre Cesidio, in uno scatto d’ira, uccide il suocero ed il cognato, per aver maltrattato la moglie, ed è costretto a fuggire nello Stato Pontificio. Domenico impara appena a sillabare nella scuola pubblica che, chiusa per ragioni politiche, abbandona per apprendere il mestiere di calzolaio. Nel settembre del 1823 torna a Tocco il padre, e conduce tutta la famiglia a Monte Libretti, dove ha trovato lavoro, dopo la fuga, alle dipendenze del principe Maffeo Barberini Sciarra Colonna. Nel mese di settembre del 1824, suo padre lo manda a Roma, per proseguire il suo apprendistato da calzolaio. Stromei è ammaliato dalla grandezza della città eterna. Quando può, si reca in un teatrino di Piazza Navona, dove si recitavano le opere del Metastasio, imparandone a memoria lunghi squarci, che poi ripete ai suoi amici di bottega. Nel 1827, torna a Tocco. Tra un lavoro e l’altro, apprende da solo a scrivere, leggere e comporre i suoi primi versi. Legge tutte le opere di Metastasio, Dante, Tasso, Ariosto, Omero. Nel 1839, sposa Teresa Di Giulio. La sua vita tuttavia, nonostante le unanimi lodi per le sue composizioni, rimane grama. Sono gli anni in cui fervono in Italia i moti patriottici. Nel marzo del 1847 Stromei scrive il poemetto “Le Forche Caudine” attirandosi le attenzioni del governo borbonico, ma anche la stima di patrioti e letterati. Il celebrato poeta estemporaneo Giuseppe Regaldi e il geologo Antonio Stoppani si recano a Tocco per conoscerlo. Ciò nonostante, la sua esistenza è segnata dalla povertà estrema. A Capodanno del 1878, muore l’amata Teresa. Con lei se ne vanno forza ed estro. Il 3 maggio 1883, Domenico Stromei muore di fame nella sua Tocco.
Giannina Milli
Poetessa estemporanea, educatrice
Giannina Milli nasce il 24 maggio 1825 a Teramo. La madre, Regina Rossi, figlia di un libraio della città, le insegna a leggere e a recitare sonetti, tanto che a soli cinque anni, Giannina sa declamare e improvvisare versi. Nel 1832, la famiglia si trasferisce a Chieti. Giannina si esibisce per la prima volta su un palcoscenico, recitando versi della Divina Commedia e della Gerusalemme Liberata. Il successo è tale che Ferdinando II la convoca a Napoli, a continuare gli studi nel Convitto per le figlie dei militari. Nel 1842, diffusosi il colera a Napoli, torna a Teramo, dove prosegue i suoi studi sotto la guida Stefano De Martines, perfezionando la sua capacità innata d’improvvisatrice, spronata dal suo maestro e da Giuseppe Regaldi, noto poeta improvvisatore. L’11 settembre 1850 torna a Napoli, dove è eletta socia onoraria dell’Accademia Pontaniana. Durante il suo soggiorno napoletano frequenta i salotti letterari di Lucia de Thomasis e di Laura Beatrice Oliva Mancini. Tra il 1850 e il 1860 è a Napoli, in Puglia, in Sicilia, a Roma, a Firenze, a Bologna e infine a Milano, accolta nei più importanti teatri e salotti letterari. Entra in amicizia, e in corrispondenza, con intellettuali e politici tra i quali Alessandro Manzoni, il critico letterario Francesco De Sanctis, lo storico Pasquale Villari, i poeti Giovanni Prati e Aleardo Aleardi, il memorialista Luigi Settembrini. Tra le amiche è la contessa Clara Maffei che la ospita nel suo salotto. Nel 1865, è nominata, dal ministro della Pubblica Istruzione, Ispettrice delle scuole normali e delle elementari in Terra di Lavoro, degli Istituti pii e delle scuole private di Napoli, e infine delle province pugliesi. Nel 1872, dopo l’annessione di Roma, è chiamata dal ministro Scialoia a dirigere la Scuola Normale superiore femminile da poco costituita. Nel 1876 Giannina sposa Ferdinando Cassone, ispettore scolastico, e lascia il suo incarico di direttrice per seguire il marito nei suoi spostamenti, quando questi diviene Provveditore agli Studi di Caserta, di Bari, e poi d’Avellino. Dopo pochi anni di felicità, alla morte del consorte, torna nella sua amata Firenze e qui, nell’ottobre del 1888, muore.
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